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lunedì 4 dicembre 2017

Realtà e fantasia

PRIGIONIERO.


Josèphine. Questo il nome della ragazza a cui Ntoni aveva giurato amore eterno. Era belga. Nata in un paesino a pochi passi dalla miniera, si era messa a spingere i carrelli di carbone da quando il padre e la madre morirono schiacciati dal crollo della miniera. Era da poco che le donne potevano lavorare all'interno della miniera. Il loro compito consisteva nel riempire i carrelli di carbone e spingerli verso l'uscita; lavoro che solitamente svolgevano maschi e femmine minorenni.

Per Ntoni tutto questo era un mondo sconosciuto. A saperlo prima avrebbe preferito fare 24 mesi di naja anziché lavorare in miniera. Ma ormai era fatta! E poi, se avesse abbandonato prima, in base all'accordo di De Gasperi, avrebbe rischiato la prigione. Sì, perché, come gli aveva spiegato Josèphine, il governo italiano aveva fatto un accordo con quello belga: braccia in cambio di carbone!

Col passare del tempo, Ntoni capì come mai tutti si diedero da fare per aiutarlo e il miracolo del lavoro oltre frontiera ottenuto con estrema facilità. Fare il militare e prestare il servizio allo Stato sotto le armi o giù in miniera era la stessa cosa! Questo pensò quando conobbe l'accordo italo-belga sul carbone.
Comunque ormai era lì. Guadagnava qualcosa e spediva i vaglia regolarmente alla madre fino a quando...

Nelle miniere di carbone, in Belgio

A MILLE METRI SOTTOTERRA.


Ntoni, seduto sul sedile in legno del treno pensava a quanto erano stati gentili con lui e la sua famiglia il sindaco, il parroco e il maresciallo dei carabinieri.

Anche in caserma, quando andò per ritirare il biglietto di sola andata per il Belgio, vide quel manifesto rosa che stava affisso alla posta e anche vicino al bar della piazza.
Il salario non è male. Pensava Ntoni. Ancora non sapeva cosa lo aspettava e quali erano le reali condizioni di lavoro e di soggiorno. Ma ben presto se ne rese conto.

Giunto al campo di baracche fatte con lamiera e assi di legno qualcuno gli assegnò un numero e il posto letto. Faceva molto freddo dentro le baracche che fungevano da dormitorio per gli italiani.

“A saperlo prima non sarei venuto! Gli disse un uomo tossendo. Altro che guadagnare soldi e carbone. Qua ci lasciamo la pelle! E non possiamo lasciare il campo prima di un anno. Sta nel contratto! Che ci vuoi fare gli accordi sono questi. Disse sempre tossendo l'uomo. Vieni. Ascolta. Non so se te l'hanno detto ma tu domani devi scendere in miniera con me. Copriti bene la bocca e il naso perché se respiri la polvere ti fotti i polmoni. Mettiti un fazzoletto o una pezza qualsiasi...”.

Ntoni abituato all'aria aperta non comprese nell'immediatezza anche perché l'uomo aveva uno strano accento. Lui era del nord. Ma ben presto capì.

Dopo venti ore di viaggio e qualche ora di sonno al freddo in una branda scomoda Ntoni fu svegliato dal suo compagno di lavoro. “sù dai che dobbiamo scendere nella buca”.

Là sotto il tempo sembrava immobile. Solo il pulviscolo nero e il rumore dei picconi lasciavano intendere che ci fosse vita in movimento. Ntoni stava perdendo coraggio e voglia di lavorare ad appena due settimane, fino a quando non incontrò quella che sarebbe stata sua moglie. Una ragazza magra nel fisico ma forte, caparbiamente forte nel portare a termine il suo compito. Lei era una “spingitrice”. Cioè doveva spingere dei carrelli con dentro una cinquantina di kg di carbone. E nonostante la fatica, accumulata nelle circa dodici ore di lavoro, aveva la forza di sorridere e di meravigliarsi all'uscita della miniera, quando dal buio passava alla luce, rosata anche se fioca, del tramonto.

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